Carpal Tunnel
Vincent Van Gogh disse una volta che disegnare è l’atto di aprirsi un passaggio attraverso un muro di ferro invisibile che sembra trovarsi tra ciò che si sente e che si può. Forse è vero o è vero per tutti quegli artisti che hanno creduto nel fatto che disegnare o dipingere o rappresentare abbia sempre avuto poco a che fare con la realtà delle cose come appaiono. Lo spazio di un quadro è spesso uno spazio di relazione tra chi l'ha immaginato con se stesso, e tra chi si trova a guardarlo con se stesso. Ogni tanto, non sempre, avviene l'incontro, e questa rimane, dopo molto tempo dal primo tentativo, una magia e un mistero incredibili.
Daniele Messineo, si vede, disegna da quando è nato e sono sicura, da prima di parlare. Appartiene a quella categoria di talenti nascosti che lavorano a luci spente, con la testa china e le mani che snocciolano figure di qualsiasi genere appena trovano una matita, pur che sia appuntita. La sua è una ricerca intima mossa dalle sue fragilità e malinconie. Parla un linguaggio che se fosse letteratura sarebbe un flusso di coscienza dove il tempo non ha contorni, ma agisce tutto insieme, fatto di attimi, distacchi, errori e correzioni.
L'oscurità dominante fa pensare al Dostoevsky delle Memorie dal Sottosuolo, al Musil dell'Uomo senza qualità ,al Kafka della Metamorfosi, al Proust di certe parti di Alla Ricerca del tempo Perduto. Un'umanità infinita intrappolata e inghiottita dal suo stesso percorrere, narrare, sopravvivere. Non solo il tempo, ma anche il racconto è perduto, come un cervello che proprio non si raccapezza.
Viene in mente Pirandello coi suoi personaggi incompiuti, con l'assurdità di certe prospettive. Non potrebbe essere diversamente, Daniele Messineo è siciliano, ed è uno spessore da ricordare quando si guarda alle sue opere.
La parte davvero interessante del suo operato è la linea, una monolinea ad essere precisi. Il tentativo di creare una strada senza fine e quindi assoluta attraverso una traccia eterna, si scontra perennemente con l'impossibilità di una destinazione definitiva. L'incompiuto si compie sotto i nostri occhi, la perdita rivive al si sotto di questa purezza di tratto e precisione di atmosfere.
La ripetitività implicità a questa tecnica non è un esercizio di stile, ma un'innata impossibilità ad uscirne.
Il labirinto come paradigma dell'esistenza, una mappa per andare via che ritorna sempre su se stessa, ossessivamente.
Valentina Casacchia, Roma, 25 Giugno 2015